
Approfondimenti: storia della Parrocchia e di Venaria Reale
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Breve storia di Venaria Reale
Venaria dalla notte dei tempi al sistema feudale (…. - 1550)
Il borgo di Altessano Superiore si sviluppa nei pressi di una strada di origine romana prossima al tracciato della via Francigena, che collega la Borgogna e la Pianura Padana. Il fatto che Altessano Superiore non si trovasse direttamente ubicato lungo la principale via di comunicazione che attraversava la Val di Susa è definito, dallo storico Bocchini, un caso fortunato, poiché il borgo risultava distante dall’epicentro degli scontri militari e del passaggio delle truppe. Con tutta probabilità il territorio di Altessano Superiore non si configurava come borgo densamente abitato, quanto piuttosto come area caratterizzata dalla presenza di cascinali immersi nel bosco. Altessano Superiore rientra nella circoscrizione carolingia del comitato di Torino e nella successiva marca arduinica. Verso la fine del 1200 sono attestate investiture nel feudo «Altessani Superioris». Nel 1255 vi è testimonianza di un’investitura sui territori della casata dei Guasco che essi, di fatto, occupano già da tempo. All’inizio del Quattrocento esponenti delle famiglie dei Guasco e degli Arcour hanno interessi a Borgaro e Altessano Superiore: in particolare Giovanni Arcour, figlio di Aresmino, è sia “consignore” di Borgaro che di Altessano Superiore.
Tra le più antiche testimonianze di presenze religiose in questo luogo, vi è il cattedratico della Chiesa torinese del 1386, che menziona due chiese, dedicate a Santa Maria e a Sant'Eusebio, mentre nel contiguo borgo di Altessano Inferiore vi erano quelle dedicate a San Lorenzo e a Santa Maria. Le citazioni della metà del Quattrocento fanno riferimento solamente alla Cura Altessanis Superioris, informandoci, peraltro, dell'esistenza di cura d'anime e, quindi, di prerogative propriamente parrocchiali.
Venaria e i Savoia (1550 – 1799)
Venaria Reale venne fondata sul territorio del villaggio di Altessano Superiore nel 1658. Ma le vicende di questo territorio dalla metà del Cinquecento si intrecciarono, sempre più intensamente, a quelle della dinastia sabauda. Gli estesi boschi ospitavano le battute di caccia dei duchi, mentre comunità partecipava, fornendo uomini e carri, e ottenendo spesso esenzioni da imposte, per l'impegno e le gravose conseguenze sulle campagne provocate dalle battute, La difesa dei territori riservati alla caccia, promossa dai Savoia con una cospicua normativa, atta a tutelare le attività della corte, causava peraltro numerose proteste da parte dei possessori dei fondi, che subivano forti limitazioni allo sfruttamento dei boschi, trovandosi inoltre danneggiati dalla proliferazione degli animali selvatici, protetti dalla legislazione. Nel 1632, con formale contratto ottenuto dal duca Vittorio Amedeo I, si stabilirono con chiarezza gli Impegni dovuti dalla comunità di Altessano Superiore per il sostegno alle caccie, in cambio di non irrilevanti benefici fiscali. Carlo Emanuele II, che rimase concretamente posto sotto la tutela di Cristina di Francia fino alla morte della duchessa decise, nel 1658, di costruire una nuova residenza di loisir, al fine di legare al proprio nome una nuova impresa architettonica; il progetto, su scala territoriale, prevedeva non soltanto la realizzazione di un palazzo con giardini e pertinenze, ma la riedificazione del villaggio di Altessano Superiore in una moderna architettura urbanistica, che si sovrapponeva sul preesistente insediamento rutale. L'operazione venne condotta anche da un punto di vista toponomastico: il territorio venne nel contempo rinominato Venaria Reale.
I progetti di Amedeo di Castellamonte per la Venaria Reale coinvolsero l'assetto urbanistico dell'antico villaggio, prevedendo la realizzazione di un viale rettilineo in asse alla Reggia ed ai giardini, interrotto alla sua metà da una piazza quadrato-ovale, nella quale emergevano due chiese contrapposte, circondate da portici. La preesistente chiesa, che era stata ricostruita dal 1645 dopo aver subito danneggiamenti nel periodo della guerra civile, venne dunque sostituita dal cantiere della nuova parrocchiale, dedicata alla Vergine Maria, nel 1669. I progetti prevedevano, inoltre, la realizzazione di un'altra chiesa, nella medesima piazza, dedicata a Sant'Eusebio vescovo, secondo un progetto che venne completato solo parzialmente con la realizzazione della facciata; i terreni vennero poi ceduti da Vittorio Amedeo II nel 1724 per la costruzione di un ospizio destinato alla Congregazione di carità.
La parrocchiale del Castellamonte crollò nel 1753, forse a seguito di alcune scosse di terremoto, delle quali vi è testimonianza in un registro di battesimo. La ricostruzione venne affidata alla bottega di Benedetto Alfieri, che negli stessi anni era impegnato nei cantieri della Reggia. Carlo Emanuele III di Savoia partecipò finanziariamente ai lavori, presenziando alla posa della prima pietra. Ma la presenza della Reggia, se da un lato garantiva alla comunità una protezione avente carattere di eccezionalità, dall'altro eliminava qualsiasi margine di autonomia, condizionando le scelte locali entro le finalità della corona. Le vicende della parrocchia ne restano un esempio emblematico.
Nei primi anni del Settecento emerse il problema del patrono locale. Carlo Emanuele II aveva garantito alla comunità, attraverso l'edificazione delle chiese dedicate a Maria Vergine e a Sant'Eusebio di Vercelli, la protezione celeste di santi cari alla dinastia. Ma l'edificazione della cappella di corte, entro la quale furono traslate, per volontà di Vittorio Amedeo II, le reliquie di Sant'Eusebio vescovo e di Sant'Uberto, costrinse la comunità a scegliere quale patrono principale, secondo un percorso che non è ancora stato con chiarezza definito, Sant'Eusebio prete di Roma. La questione, legata alle ambiguità derivanti dallo stretto legame creatosi con la Reggia e con la corte, rimane oggi aperta; la città festeggia solamente la festa di Maria bambina il 9 settembre.
Inoltre, a partire dal 1730, dopo una trattativa lunga con il papato, era stata istituita la regia parrocchia di corte, che si manifestava nella cappella della Reggia di Venaria Reale, nella chiesa di San Giovanni Battista di Torino ed a Superga. La creazione di una novella giurisdizione, non facilmente definibile entro quella dell'arcidiocesi di Torino, creò, dagli anni '40, contrasti tra il vicario della cura regia ed il parroco della comunità, che si risolse con la soppressione della cappella di corte nel 1798, al momento della caduta della monarchia sotto l'urto degli eserciti francesi, evento che provocò la ricomposizione della giurisdizione parrocchiale sul territorio.
Venaria e i militari (1800 – 1899)
Nel corso dell'Ottocento, la decadenza della residenza sabauda ed il riutilizzo a favore di caserma per reggimenti di cavalleria ed artiglieria, provocarono la caduta progressiva delle funzioni liturgiche nella cappella di Sant'Uberto, fino al 1887, quando arredi e paramenti sacri vennero consegnati dalle autorità militari alla parrocchiale di Venaria Reale.
La Reggia e la città di Venaria subiscono trasformazioni radicali: i nobili di corte lasciano il posto ai militari; la Reggia viene adibita a caserma e ospedale militare; le grandi vetrate della Citroniera juvarriana vengono tamponate; la Galleria Grande adibita a magazzino; la Galleria alfieriana diviene scuderia; i fabbricati alfieriani, sul retro della chiesa di Sant'Uberto, ospitano i reparti militari di guarnigione; le pareti ricche di stucchi e pregiati marmi vengono rivestite con piastrelle; i soffitti sono abbassati con controsoffitti. Paradossalmente questa operazione salva i preziosi affreschi dalle manomissioni e atti vandalici dei soldati. Nella piazza del Castello il primo caseggiato sulla destra (su via Mensa) viene adibito a Compagnia Guardie del Corpo, poi a Caserma di Cavalleria Principe Amedeo; il complesso di edifici attigui alla Scuderia e alla Citroniera juvarriana (corte Pagliere) viene trasformato in cavallerizza e aule d'istruzione; altri edifici sparsi per la città ospitano raggruppamenti militari; in Piazza dell'Annunziata il Palazzo Carignano viene trasformato in Collegio Veterinario e Infermeria quadrupedi; i giardini juvarriani, vengono spianati e diventano piazza d'armi per le esercitazioni militari e il tiro al cannone. Se da un lato Venaria con la presenza militare perde la sua regalità, dall’altro lato acquista un vantaggio economico non indifferente.
Venaria e il fascismo, la guerra e la Resistenza (1900 – 1945)
Venaria Reale nel primo decennio del XX secolo dà un contributo non marginale alle guerre coloniali in corso, dovuto alla presenza militare ancora piuttosto marcata. Inoltre, la crescente industrializzazione caratterizza come “operaia” la comunità, che lotta per il salario, contro l’arbitrio padronale, affitti elevati delle case, abitazioni fatiscenti. Con la “Grande guerra”, nonostante la città fosse distante dal fronte, per ordine del Comando supremo delle forze armate, deve cedere alloggi e scuderie all’esercito. Il contributo di Venaria Reale alla Grande Guerra è di 55 caduti, Altessano ne conta altri 20. Il dopo guerra è caratterizzato dall’epidemia “spagnola”, che colpisce la comunità venariese con un centinaio di morti e da una grande crisi alimentare che accende gli animi in un momento storico già conflittuale, definito “biennio rosso” che determina scioperi e forti proteste sociali. La “socialista Venaria” deve fare i conti con il nascente fascismo che nel 1922 distrugge la sede del partito socialista e quelle delle società operaie. Il governo fascista occupa tutte le posizioni di potere nelle fabbriche e nella pubblica amministrazione cittadina, servendosi del consenso degli immigrati di recente insediamento. Sono anni nei quali i sindacati operai (almeno fino alla loro soppressione da parte del fascismo) sono deboli. Gli imprenditori aumentano gli orari di lavoro e abbassano i salari. La disoccupazione aumenta, per cui cresce in città la miseria e contemporaneamente aumentano la delinquenza e la violenza. Venaria Reale nel periodo tra le due guerre, ma anche nel secondo dopoguerra è un territorio di scorribanda, sia di delinquenti locali che di quelli giunti da altre località. La tipologia dei reati varia da furti e rapine, truffe, omicidi, risse con ferimenti, aborti e prostituzione. Da un lato vi è una immigrazione elevata rispetto alle possibilità di lavoro, una disoccupazione accentuata, una miseria abbastanza diffusa, uno stato di degrado causato di sistemazioni abitative precarie e dall’altro la presenza di molti militari che favorisce incontri amorosi non stabili e provvisori. Tutto ciò crea le condizioni che generano diversi livelli di criminalità: si va dai “ladri di polli” agli omicidi a scopo di rapina, da aborti a delitti per motivi di gelosia. La città che cambia il suo volto, raddoppia la popolazione, si espande fino a congiungersi con Altessano, viene amministrata prima da commissari prefettizi fascisti e poi per lungo tempo da un podestà. In questo periodo Venaria si dota di nuove scuole elementari, di un edificio comunale, di un asilo, di un teatro, di una Casa Littoria e di una “Casa della la madre e del bambino” (ONMI), opere finanziate in gran parte dal regime. Ciò nonostante la città rimane sostanzialmente antifascista, basti pensare che nel 1940 gli iscritti al Partito Nazionale Fascista sono appena 35 e che la raccolta “Oro alla Patria” del 1935 ha raggiunto quota poco oltre le 10.200 lire, ben al di sotto delle medie del Piemonte. Altre raccolte fondi precedenti hanno dato risultati molto modesti. Già poco prima dell’entrata nella seconda guerra mondiale, a Venaria opera clandestinamente un nucleo comunista, mentre dopo il 1943 il contributo alle forze partigiane è notevole. Sono circa 800 gli individui che vengono riconosciuti come partigiani, patrioti o antifascisti attivi. Nonostante la presenza di obiettivi sensibili a Venaria Reale, la guerra non fa grandi danni come in altre città. Gli stessi abitanti non sono immediatamente consapevoli del pericolo incombente, forse la propaganda fascista di una guerra “rapida e vittoriosa” con “otto milioni di baionette” ha sviluppato, almeno all’inizio, un effetto tranquillizzante sui venariesi. Con la Liberazione, la città è in festa, il Comitato di Liberazione Nazionale di Venaria, nuovamente “Reale”, prende il governo della città in attesa delle prime elezioni amministrative. Si torna a sperare!
Venaria, la ricostruzione, il boom economico e la crisi sociale (1946 – 1979)
La Liberazione, per tutti, ha rappresentato un momento di riadattamento psicologico e politico: per chi ha aderito convintamente al fascismo, per chi lo ha accettato, per chi lo ha subito, per chi lo ha combattuto nella cospirazione e per chi ha preso la strada della lotta armata partigiana. In ogni caso dopo i drammatici anni della seconda guerra mondiale e con l’avvento della repubblica si manifesta nel popolo italiano una grande volontà di ricostruire fisicamente e moralmente il Paese insieme ad una esigenza generale di cambiamento di mentalità, di convinzioni, di comportamenti, di abbandono di antiche tradizioni. Venaria Reale in quegli anni non fa eccezione, la sua gente sente gli stessi sentimenti e si appresta a diventare “roccaforte” proletaria di rilevanza sovraregionale in ragione della massiccia e diversificata presenza di operai. Già a partire dalla metà degli anni ’50 la società da agricola diventa industriale mentre la vita a Venaria Reale si svolge tra scioperi e disoccupazione, tra atti malavitosi e suicidi, tra manifestazioni di pazzia e visioni di dischi volanti, tra vincite al Totocalcio ed eredita ingenti in arrivo dall’America. Negli anni ’60 assistiamo nel Paese ad un rapido “boom economico”, ove l’autoconsumo diventa consumo di massa, si comprano motocicli (Vespa e Lambretta), automobili (Fiat 600 e 500), frigoriferi, le ferie di massa e si inizia a viaggiare. L’Italia passa da una economia chiusa a un’economia sempre più integrata e gli scambi (commerciali e finanziari) diventano sempre più internazionali. Venaria Reale vive in quegli anni una fase di industrializzazione dovuta alla saturazione delle zone industriali di Torino che costringe l’iniziativa imprenditoriale a spostarsi verso le periferie, ne consegue uno sviluppo dell’immigrazione dal meridione. È un periodo in cui in città la malavita fa un salto di qualità: da microcriminalità, furti e truffe, dovuti a stati di miseria e degrado fisico morale dei suoi abitanti a forme più organizzate come bande di delinquenti, rapine a banche e azioni banditesche.
Per contro all’inizio degli anni ’70 a partire dalla prima crisi petrolifera, ad una forma di recessione che va a toccare direttamente l’economia delle famiglie italiane. Anche in questo caso Venaria non fa eccezione a causa delle molte fabbriche che operano sul suo territorio, parecchie delle quali cessano le attività negli anni ‘70. A livello nazionale questi fenomeni economici di crisi generano altri fenomeni sociali, come l’urbanizzazione e l’immigrazione, che a loro volta completano il passaggio da un’economia agricola a una industriale. Le città si gonfiarono a dismisura generando scempi culturali e paesaggistici, speculazione e corruzione e i sobborghi delle grandi città, si trasformano in quartieri dormitorio. Anche in questo caso la città di Venaria segue la tendenza, in quel periodo Venaria si espande sempre più diventando una “città dormitorio”. Al Sessantotto, celebrato o criticato che sia, e al cosiddetto “autunno caldo” con le loro forti cariche di contestazione e momenti di rottura con le istituzioni tradizionali (chiesa, famiglia, scuola, sindacati), segue un processo di radicalizzazione del pensiero politico che lascia spazio alla cosiddetta “strategia della tensione” e a una la lunga serie di gravissimi attentati ad opera di terroristi. Qui fortunatamente Venaria non è toccata da questi gravi eventi.
Venaria e il futuro
A partire dalla metà degli anni ’50 il dibattito politico a Venaria Reale è stato fortemente caratterizzato dalle opportunità di orientare, secondo visioni diverse, non sempre trasparenti, le scelte sugli insediamenti industriali, commerciali e residenziali. Basti ricordare due decisioni, definite deleterie per la città: lo storno dal Piano regolatore della circonvallazione per Lanzo, che ha creato un traffico inquinante sul C.so Garibaldi, e la concessione all’insediamento di una azienda fortemente inquinante nel Parco Basso. I numerosi confronti tra le diverse forze politiche non mettono in evidenza visioni politiche particolarmente brillanti e ciò finisce per creare un certo divario qualitativo rispetto ad altri comuni della cintura torinese, divario ridotto poi nei primi anni del 2000. In ogni caso, pur con queste difficoltà, Venaria Reale a partire dagli anni ’80 si trasforma in una città con spiccata crescita urbanistica e demografica, con infrastrutture importanti. Si assiste ad un forte declino dell'attività industriale e delle attività collegate. Dopo la chiusura della SNIA, il suo stabilimento di Altessano viene abbattuto e l'area diviene residenziale mentre quello di Venaria Ceronda è riconvertito ad attività artigianali. La città si sviluppa verso sud-est negli anni '80-'90, le case costruite arrivando a costeggiare la tangenziale e il confine con Savonera. Fortunatamente per la città e per i suoi abitanti, questo declino è attenuato e parzialmente superato grazie al lungo restauro della Reggia di Venaria (con contributi europei e statali) che ha permesso la formazione di un flusso turistico basato soprattutto sulle visite culturali e sul loro indotto (pernottamenti, bar e ristorazione, piccolo commercio). Per contro all’affermazione del complesso “La Venaria Reale”, non ha corrisposto ancora una trasformazione del Centro storico della città.
Storia della parrocchia Natività di Maria Vergine in Venaria Reale
(Caglio Paolo, Chiesa Parrocchiale Natività di Maria Vergine. Venaria Reale (Torino). 1672-2012. 250° di Consacrazione. Venaria Reale, 2012.)
La Chiesa parrocchiale Natività di Maria Vergine in Venaria Reale
Come riferito in passato da diversi parroci, le origini della nostra parrocchia sono certamente molto antiche: la presenza di edifici ecclesiastici nei borghi di Altessano superiore (l'attuale Venaria Reale) ed inferiore, è documentata fin dal Medioevo, tuttavia vi sono numerosi validi ed importanti indizi che fanno presumere l'esistenza di una o più chiese nella regione altessanese fin dall'epoca longobarda carolingia (VIII-IX secolo d.C.)
L'ipotesi non è così azzardata tenendo conto del fatto che il luogo fu abitato fin dall’epoca romana: l’etimologia del toponimo, l’ubicazione degli insediamenti lungo la strada secondaria per le valli di Lanzo, i ritrovamenti archeologici, i frammenti di una centuriazione romana costituiscono una prova inconfutabile.
II più antico documento, giunto fino a noi, che attesta in modo indiretto la presenza di entità ecclesiastiche in Altessano è rappresentato da un atto notarile datato 7 luglio 1271 nel quale viene annoverato, tra i testimoni "Wermus plebanus altessani" (Guglielmo pievano di Altessano).
La carta medievale più importante che ci permette di conoscere il nome delle chiese esistenti sul territorio è invece rappresentato dal "cattedratico" della Chiesa torinese risalente al 1386. Grazie a questo tributo, gravante su tutti i "tituli" e benefici ecclesiastici soggetti alla giurisdizione del vescovo di Torino, sappiamo che in Altessano esistevano ben quattro chiese.
In particolare:
"Ecclesia Sanctae Marie de Altessano superiori
Ecclesia Sancti Eusebii Altessani superiori
Ecclesia Sancti Laurentii de Altessano inferiori
Ecclesia Sanctae Mariae Altessani inferioris"
tutte dipendenti e facenti parte del distretto pievano della pieve di S. Pietro di Pianezza.
Intorno alla metà del quattrocento, nei successivi cattedratici, venne riportato soltanto “Cura Altessani Superioris" o molto più genericamente "Cura Altessani". Il termine "Cura" utilizzato al posto di Ecclesia'" è assai significativo in quanto specifica chiaramente che si trattava di chiese con cura d'anime e quindi a tutti gli effetti parrocchiali.
Fino al 1577 le chiese altessanesi furono rette da un unico curato dimorante in Altessano superiore.
Il 14 novembre di tale anno, I‘arcivescovo di Torino, cardinale Gerolamo della Rovere concesse la separazione della chiesa di san Lorenzo in Altessano inferiore da quella della beata Maria Vergine in Altessano superiore e la creazione della nuova parrocchia di Altessano inferiore.
Tra il 1584 ed il 1585 il nunzio apostolico, monsignor Angelo Peruzzi, coadiuvato da quattro canonici della chiesa metropolitana torinese, effettuò la prima e completa visita della diocesi di Torino.
Il delegato pontificio, canonico Loseo, si recò nella parrocchia della beata Maria Vergine in Altessano superiore il 12 agosto 1584 rilevando una situazione, a dir poco, "indecente" condizione peraltro comune a molte altre parrocchie della diocesi - : il Santissimo Sacramento non venne rinvenuto, il parroco mancava da otto giorni, la casa canonica era distrutta da un incendio. La chiesa - ubicata sullo stesso luogo in cui si trova l'attuale edificio sacro - era quasi completamente aperta, scrostata, con il tetto rotto minacciante rovina e con un pavimento sconnesso e devastato. All'interno, l'altar maggiore, "privo di tutte le cose necessarie e sovrastato da un'icona abbastanza decorosa, era affiancato da due altari laterali: uno di questi era dedicato alla "Gloriosa Vergine", unico accettabile. Gli altri quattro altari, situati tutti sul lato del Vangelo, apparvero assolutamente indecorosi. Al centro dell'unica navata si trovava il fonte battesimale di pietra. La chiesa non aveva la sacrestia. All'esterno, sul lato dell'epistola, (a levante) si trovava il cimitero, privo di recinzione.
Secondo le disposizioni del visitatore apostolico, tra la fine del '500 ed i primi anni del '600 furono realizzati dei lavori di ristrutturazione dell'edificio - non escludiamo addirittura l'edificazione di una nuova chiesa -; la totale mancanza di documenti inerenti questi anni, purtroppo non ci consente di conoscere l'entità degli interventi effettuati
Grazie ad una carta arcivescovile del 1607 apprendiamo quantunque che in quel tempo la titolazione della chiesa venne modificata da "ecclesie Sanctæ Marie" o "parochialis ecclesia Beatæ Marie Virginis" in "parochialis Ecc.am Natitivatis Beata Mariæ Virginis loci Allessani superioris taurinensi Diocesis".
La notizia è estremamente importante in quanto attesta in modo inequivocabile che la dedicazione della chiesa alla "Natività della Beata Maria Vergine" non è assolutamente collegata né tantomeno ascrivibile agli interventi di costruzione della Venaria Reale avvenuti nella seconda metà del Seicento.
Nel corso del 1639, in seguito alla guerra civile scoppiata in tutto il Piemonte a causa delle questioni dinastiche di successione sorte tra la reggente Maria Cristina di Francia ed i cognati, il principe Tommaso di Carignano ed il cardinal Maurizio di Savoia, un rovinoso incendio distrusse buona parte del borgo di Altessano superiore tra cui anche la chiesa parrocchiale.
Negli anni seguenti, la comunità altessanese, peraltro già gravata da pesanti carichi finanziari, con enormi difficoltà edificò una nuova chiesa.
I lavori di costruzione si protrassero all'incirca per un decennio. Nel 1652 la nuova chiesa poté considerarsi ultimata nella struttura tant'è che l'arcivescovo di Torino, Michele Beggiano la elevò a prevostura "Paro.le Eccl.a prepositura sub titulo nat.atis B.M.V. loci Altessani superioris".
L'edificio sacro, costruito su pianta rettangolare ad unica navata, era di dimensioni e fattura modeste. La lunghezza totale non superava il transetto della chiesa attuale. Il tetto era tripartito: vi era una parte centrale, sopra elevata e sovrastante la navata, a doppia falda, e due coperture laterali, ad unica falda sovrastanti le cappelle.
All'interno, l'altare maggiore era dedicato alla Natività della Beata Maria Vergine, mentre su entrambi i lati della navata si trovavano sei cappelle laterali con relativi altari.
Sul lato del Vangelo a destra dell'altare maggiore, la prima cappella era dedicata a Sant'Antonio abate, quella di mezzo a Sant'Antonio da Padova, mentre l'ultima cappella (la prima entrando a sinistra) era intitolata alla Beata Maria Vergine dei sette dolori e del crocefisso. Questa ultima cappella era regolata dalla compagnia del Santo Rosario.
Dalla parte opposta, sul lato dell'epistola, quindi a sinistra dell'altare maggiore, si trovava la cappella della Beata Maria Vergine del Rosario, seguiva quella di San Giuseppe ed infine quella della comunità dedicata ai santi protettori del luogo, San Grato e San Eusebio prete confessore.
Il fonte battesimale era ubicato all'ingresso della chiesa, dalla parte destra. All'esterno, all'altezza del presbiterio, sul lato del Vangelo, si trovava il campanile.
Sul lato opposto, invece, vi era la sagrestia. Accanto alla chiesa, a levante, si trovava il cimitero.
Negli anni seguenti, la comunità di Altessano superiore, le compagnie religiose, i feudatari del luogo, in particolare gli Harcourt, e successivamente alcuni notabili, quali i Maulandi ed i Galleani, si occuparono del decoro interno della chiesa, in specie di alcune cappelle di loro proprietà o a loro affidate.
A partire dal 1659 fino all'incirca al 1690, com'è noto, gran parte dell'abitato di Altessano superiore fu oggetto di straordinari interventi di edificazione edilizia e riplasmazione urbanistica secondo i disegni dell'architetto di corte conte Amedeo di Castellamonte, finalizzati alla realizzazione della residenza sabauda e della nuova città di Venaria Reale.
L'ambizioso progetto castellamontiano, nella realtà dei fatti, interessò la chiesa parrocchiale soltanto nella facciata: questa venne innalzata nel 1669 in soli quattro mesi, tra l'inizio del mese di agosto ed i primi di dicembre ad opera del "capo mastro da muro" Carlo Righino.
Nel 1674 il sovrano fece dono alla parrocchia dell'ancona raffigurante la natività della Beata Maria Vergine, opera del pittore milanese Giovanni Battista Brambilla.
Nonostante le donazioni ricevute ed i vari interventi effettuati nel corso degli anni da parte della comunità, delle confraternite e dei particolari per aumentare il decoro interno della chiesa, diversi documenti settecenteschi denunciano più volte "l'angustezza" ed il degrado del luogo.
Per porre rimedio a questa condizione, nel 1748, il minusiere Giò Battista Farchero dietro istruzione del comune di Venaria Reale, costruì una tribuna sopra la porta d'ingresso della chiesa, mentre le compagnie religiose, a proprie spese, fecero collocare un nuovo organo a canne, opera degli organari di corte Fratelli Concone.
Il 12 febbraio 1753 un evento sconvolgente colpi l'intera comunità venariese: parte della chiesa parrocchiale crollò al suolo, senza peraltro causare vittime.
Il cedimento strutturale dell'edificio, causato principalmente dalle infiltrazioni d'acqua provenienti dalle coperture, interessò soltanto la parte centrale della chiesa: rimasero in piedi, infatti, la facciata, il presbiterio, la sacrestia, il campanile. Quest'ultimo, per sicurezza, venne demolito nei mesi seguenti il crollo. Dalle rovine della chiesa venne recuperato ogni cosa servibile o non danneggiata tra i quali: l'organo, l'ancona dell'altar maggiore, il quadro della cappella di Sant'Antonio abate, diversi banchi.
Seguendo il parere dei periti appositamente nominati, la Comunità di Venaria Reale decise di procedere alla ricostruzione completa dell'edificio su disegno dell'architetto di corte, conte Benedetto Alfieri (28 aprile 1753).
I lavori, affidati alla direzione del misuratore ed ingegnere Giuseppe Giacinto Baijs, iniziarono immediatamente.
Il 30 luglio 1753 venne "dato principio alle fondamenta del cavo parrocchiale".
La mattina del 6 settembre dello stesso anno, alla presenza del sovrano, re Carlo Emanuele III, fu posta la prima pietra sotto il pilone destro dell'altar maggiore. Dopo due anni di lavoro, il 10 dicembre 1755 gli edifici chiesa e campanile - erano terminati nella loro struttura. In tale data la Comunità di Venaria Reale presentò ricorso all'arcivescovo di Torino per ottenere la delega a favore del prevosto don Giovanni Battista Costa per la S. Benedizione della nuova costruzione.
La chiesa venne benedetta ed officiata per la prima volta dal sopra citato prevosto il 16 dicembre 1755. L'interno dell'edificio era ancora privo di arredi e decorazioni.
L'altar maggiore, dono del re Carlo Emanuele III venne collocato nel 1756. Nello stesso anno la comunità di Venaria Reale, proprietaria dell'immobile, assegnò le due cappelle del transetto alle compagnie religiose della B.M.V. del Rosario e di S. Giuseppe, riservandosi la seconda cappella a destra dell'altar maggiore intitolata a S. Eusebio prete, patrono principale del luogo.
“…L'anno poi 1762 li 24 agosto a richiesta ed a spese di me Proposto (teol. don Carlo Giuseppe Rossi) fu consacrata dall'Tll.mo e Rev.dmo Monsignor Martiniana Vescovo di Moriana per delegazione conservata in scritti in questo archivio Parrochiale sotto il 25 Agosto corre e dell'Em.mo e Rev.dmo Cardinale Rovere di Felice memoria Arciv.o di Torino, e si conserva la memoria di d.a consecrazione in lapide affissa nel muro del Capellone di S. Giuseppe a sinistra dell'altar Maggiore; è stata dedicata sotto il titolo di S. Maria nella sua Natività, e se ne fa l'uffizio della dedicazione nel d.o giorno del 24Agosto...".
Insieme alla chiesa vennero consacrati anche l'altar maggiore e l'altare della cappella della Ss. Vergine del S. Rosario.
Al momento della consacrazione, l'interno dell'edificio non era del tutto ultimato; le ultime due cappelle di sinistra e l'ultima a destra dell'altar maggiore erano incomplete. Queste furono terminate soltanto diversi anni dopo: nel 1782 venne ultimata la terza cappella a sinistra detta della compagnia di S. Filippo Neri e S. Luigi Gonzaga, nel 1789 quella di fronte dell'Immacolata concezione e nel 1796 quella di S. Rocco, seconda cappella a sinistra.
Nel 1769 il parroco, teol. Carlo Giuseppe Rossi nella sua relazione sullo stato della parrocchia scriveva che: "...la chiesa è piccola non capace di coprire più della metà del popolo...". Risalgono a questo periodo diversi progetti di ampliamento della chiesa con prolungamento del presbiterio verso mezzanotte (verso il torrente Ceronda, s'intende), progetti tuttavia non realizzati per ragioni di costo.
A fine Settecento la chiesa poteva essere considerata ultimata in tutte le sue parti.
Nel corso dell'Ottocento non si registrarono significativi interventi se non il rifacimento nel 1833 dei gradini antistanti l'altare maggiore con l'utilizzo di marmi dismessi e provenienti dal castello cittadino.
Il 24 dicembre 1851, l'arcivescovo di Torino Mons. Luigi Franzoni, con decreto personale elevò la prevostura a "Vicaria foranea" con giurisdizione sulle parrocchie limitrofe di Altessano, Borgaro e Druento. Il 3 gennaio 1852 il parroco, don Angelo Francesco Giordano, venne nominato Vicario foraneo, - titolo conferito a tutti i suoi successori fino a Don Francesco Sanmartino-.
Sul finire del secolo, il nuovo parroco e vicario, teologo don Cesare Allasia, mostrò particolare attenzione al decoro della chiesa: fin dal suo arrivo in parrocchia egli si fece immediatamente promotore per la costruzione di un nuovo organo a canne in quanto lo strumento precedente risultava ormai irriparabile. Nel mese di giugno 1893 il nuovo organo, pregevole opera della ditta torinese G. Mola, venne collocato all'interno della chiesa, sopra la nuova tribuna appositamente realizzata. Il 22 novembre, festa di S. Cecilia, lo strumento fu collaudato dagli organisti Remondi, Piazzano e Gerbaldi, quattro giorni più tardi, il 26 novembre 1893, segui la solenne inaugurazione.
Tra il 1912 ed il 1913 il decoratore Gardino insieme al pittore e decoratore venariese Luigi Martini effettuarono la prima decorazione interna della chiesa. In precedenza l'interno dell'edificio fu sempre soltanto imbiancato.
In questi stessi anni venne anche modificato il campanile: il quadrante dell'orologio, infatti, originariamente situato sotto la cella campanaria, venne spostato e collocato al di sopra di questa.
Nel 1928 le tre campane settecentesche (la più piccola risalente al 1733, la seconda al 1755 e la maggiore al 1759) vennero rifuse e sostituite da un nuovo concerto di 8 campane, opera della fonderia Bianchi di Varese:
Mi bemolle maggiore Kg. 995 dedicata a Gesù Cristo Re immortale dei secoli fusa col bronzo delle vecchie campane
Fa naturale Kg. 695,50 in onore di S. Giacomo apostolo dono del Can. Giacomo Bertagna Vicario
Sol naturale Kg. 520 in onore di S. Giuseppe sposo di Maria Vergine
La bemolle maggiore Kg. 404,50 in onore di Maria SS.a Consolatrice dono della Compagnia della Consolata
Si bemolle maggiore Kg. 296 in onore di S. Eusebio prete Patrono di Venaria
Do naturale Kg. 212,50 in onore di S. Agnese e Santa Eurasia Vergini e Martiri dono della Compagnia delle Figlie di Maria
Re naturale Kg.146 in onore di S. Antonio Abate
Mi bemolle maggiore Kg.121,50 in onore di S. Luigi Gonzaga.
La catastrofica guerra mondiale e gli eventi bellici provvidenzialmente non causarono danni alla chiesa, tuttavia importanti interventi di manutenzione straordinaria si resero necessari.
Nel 1946 l'antico dipinto presente nella cappella della Consolata venne sostituito da un nuovo quadro opera del pittore Piero Dalle Ceste e dedicato alla Vergine Consolatrice; questo per un voto fatto da un gruppo di fedeli capeggiati dai priori e consiglieri dell'omonima compagnia, sorretti dall'incoraggiamento di due cari vice parroci: il teologo don Francesco Vota ed il teologo don Tommaso Alberione, qualora la città di Venaria Reale fosse stata risparmiata dagli orrori della guerra.
Il 6 gennaio 1947 fece l'ingresso in parrocchia il nuovo parroco e vicario don Francesco Sanmartino. Nonostante un'accoglienza alquanto "fredda" questi furono anni particolarmente difficili caratterizzati da forti tensioni sociali - questo sacerdote, animato da una grandissima fede, coadiuvato da zelanti vice parroci (a partire dal 1950 anche dalle suore missionarie Regina Pacis da lui stesso volute a Venaria Reale) con l'aiuto dei parrocchiani rinnovò completamente la chiesa, la parrocchia e gli oratori.
Venne subito rifatto il battistero. Tre anni più tardi l'antica ancona collocata dietro l'altar maggiore venne sostituita da un nuovo quadro dedicato a Maria Bambina, opera del pittore Pietro Favaro (1950). In occasione del bicentenario della consacrazione della chiesa furono rifatti i tetti, l'impianto elettrico, l'impianto di riscaldamento, i pavimenti, la pulitura e revisione dell'organo, la decorazione interna, opera del pittore Nino Pirlato, il restauro della facciata con una spesa complessiva di oltre ventidue milioni di lire, cifra ingente per quegli anni.
Anche don Giuseppe Fisanotti, parroco per quasi trent'anni alla guida della parrocchia e successore di don Sanmartino, ebbe particolarmente a cuore il decoro della chiesa. Durante il suo ministero affrontò alcuni importanti lavori tra cui il restauro del campanile e della facciata, l'elettrificazione delle campane, l'impianto fonico. Dotò anche la chiesa di una nuova mensa, per la celebrazione della S. Messa e di un nuovo ambone secondo le nuove norme conciliari.
Si deve anche a lui la costruzione ed ultimazione della cappella succursale in via Sciesa, voluta già dal suo predecessore don Sanmartino.
Particolarmente attento e zelante alla manutenzione ordinaria e straordinaria della chiesa, è stato don Sergio Fedrigo, parroco a Venaria Reale per ben tredici anni. Fin dal suo ingresso in parrocchia, avvenuto il 30 ottobre 1993, egli diede avvio ad una serie straordinaria di lavori che interessarono in parte anche la chiesa.
Tra il 1994 ed il 2006 in particolare furono realizzati: un nuovo impianto di elettrificazione delle campane, la pulitura e revisione dell'organo in occasione del suo centenario, il recupero della sala delle compagnie, il nuovo impianto di riscaldamento della chiesa, il rifacimento dei tetti nella parte soprastante il coro, la ristrutturazione della cappella di via Sciesa, il nuovo impianto fonico, elettrico e di illuminazione della chiesa, il ripristino delle decorazioni del fonte battesimale e del coro, la pulitura completa di tutti i quadri presenti all'interno della chiesa.
Una prima parte è stata iniziata dal successore don Mauro Petrarulo ed ultimata dal nuovo parroco don Vincenzo Marino. Nel 2012 i lavori resi necessari causa le diverse infiltrazioni di acqua dai tetti sono stati ultimati.
Oltre a questo straordinario intervento, don Vincenzo, suo malgrado, ha dovuto affrontare un'ulteriore spesa riguardante il restauro e ricostruzione completa del castello delle campane in quanto minacciante rovina.
Per tale ragione il 5 giugno 2012 le otto campane sono state temporaneamente rimosse dal campanile per un restauro completo in attesa di venire ricollocate in occasione del 250° anniversario della consacrazione della chiesa.
Le compagnie religiose
Un ruolo significativo nella storia della nostra chiesa è stato ricoperto dalle compagnie religiose, istituzioni laicali locali volute dalla stessa Chiesa cattolica sia prima che dopo il concilio tridentino, segno esteriore di un'antica tradizione di fede popolare vissuta. Sebbene oggi giorno risulta piuttosto difficile, specie per i più giovani, comprendere la loro esistenza, funzione ed attività, la presenza di queste "confraternite" in ambito parrocchiale è stata per molti aspetti determinante. Oltre a svolgere attività prettamente religiose il compito principale di ogni compagnia era quello di accrescere tra i fedeli la devozione per il santo o i santi titolari della confraternita, di regolare lo svolgimento delle numerose processioni che venivano effettuate nel corso dell'anno liturgico, di elevare preghiere in suffragio delle anime delle consorelle e confratelli defunti - tali confraternite si occupavano, più materialmente, anche del mantenimento, del decoro e dell'addobbo delle cappelle a loro affidate e della chiesa in generale.
Ogni compagnia aveva un proprio statuto o regolamento, un consiglio direttivo regolarmente e periodicamente eletto composto da priori, vice-priori, segretario, tesoriere, massaro. Alcune “confraternite" disponevano inoltre di redditi propri derivanti principalmente da lasciti dei confratelli che servivano esclusivamente a far fronte alle spese ordinarie e straordinarie da sostenere nel corso degli anni.
È questa la ragione per cui la maggior parte delle decorazioni presenti all'interno della nostra chiesa, in particolare i quadri, gli addobbi, i paramenti, gli organi, le campane sono frutto delle attività svolte nei secoli passati da queste "associazioni" di fedeli.
Le compagnie operanti nella chiesa venariese sono state diverse tra cui alcune molto antiche. Intorno alla metà del 700 il parroco don Ferrero e più tardi, il teologo Rossi nelle loro relazioni sullo stato della parrocchia asserirono che la compagnia più antica presente era quella del Santissimo Sacramento, tuttavia entrambi ne ignoravano la data di erezione.
In realtà questa compagnia venne istituita sul finire del cinquecento come richiesto dal visitatore apostolico in occasione della visita del 1584, secondo anche quanto previsto dal concilio di Trento.
In precedenza esistevano altre compagnie: nella relazione della citata visita apostolica viene fatta menzione di una confraternita della "Gloriosa Vergine". Con ogni probabilità questa compagnia continuerà a essere attiva e confermata nel 1648 sotto il nome della beata Maria Vergine del Santo Rosario. Nel Cinquecento fu attiva anche la confraternita dello Spirito Santo, ma questa venne liquidata nei primi anni del Seicento per ordine del sovrano.
Nel corso del Settecento furono erette diverse compagnie: la compagnia di San Giuseppe (1745), la compagnia della Dottrina cristiana (1756) ed infine quella di San Filippo Neri e San Luigi Gonzaga (dopo 1770).
Nel 1834 quest'ultima confraternita venne unita alla nuova compagnia della B. Vergine Consolata, canonicamente eretta in tale anno, su iniziativa del vice parroco venariese don Andrea Giorgis, secondo anche quanto auspicato dalla Curia e dal clero torinese di fronte ad una situazione economica, sociale e sanitaria drammatica.
L'ultima confraternita canonicamente eretta in ordine di tempo nella nostra parrocchia è quella delle Figlie di Maria, risalente al 1890.
Queste compagnie sono state regolarmente funzionanti fin verso gli anni sessanta del secolo scorso. Dopo il Concilio Vaticano II e soprattutto a causa della secolarizzazione, le attività di queste confraternite furono man mano ridotte, fino praticamente a scomparire quasi del tutto.
Unica eccezione è rappresentata dalla compagnia della Consolata, ancor oggi presente ed attiva.
In seguito nel 1986 è stata istituita da don Giuseppe Fisanotti la compagnia di Maria Bambina.
Attualmente, al fine di non cancellare dalla memoria questa antica tradizione parrocchiale, patrimonio religioso e culturale non indifferente, vengono comunque nominati annualmente i priori e vice-priori delle varie compagnie a retaggio e testimonianza di questo glorioso ed importante passato.
Questa è in breve la storia millenaria della nostra chiesa parrocchiale.
Casa del Signore, edificio sacro ricostruito più volte nel corso dei secoli ed a Lui consacrato.
Luogo di preghiera, di incontro, di ascolto, di redenzione, di condivisione.
Scrigno di tesori piccoli e grandi, frutto di sacrifici e lavoro di tante anime.
Testimone silenzioso ed inerme di momenti di gioia, di pena e sofferenza di generazioni di persone, ma soprattutto presenza viva di Dio nella vita cittadina e comunitaria.